Agostino d’Ippona (1972)
Agostino d’Ippona (1972)
Anno 1972
Paese Italia
Durata 121 minuti
Genere Biografico
Regia Roberto Rossellini
Attori Virgilio Gazzolo, Giuseppe Alotta, Dary Berkani, Fabio Carriba, Bruno Cattaneo, Leonardo Fioravanti, Livio Galassi, Giuseppe Mannajuolo, Cesare Barbetti
Data uscita N.D.
Fotografia Mario Fioretti
Montaggio Jolanda Benvenuti
Musica Mario Nascimbene
Sceneggiatura Roberto Rossellini, Luciano Scaffa, Marcella Mariani
Trama
Agostino viveva in Ippona, nel cenobio da lui fondato, quando il vescovo Valerio che già l’aveva consacrato sacerdote per obbedienza, sentendosi prossimo a morire, lo designò suo coadiutore e successore. Si trovavano allora ad Ippona Alipio di Tagaste e Megalio di Calama per la riunione dei vescovi della Numidia, che accettarono la richiesta di Valerio con l’eccezione che comportava e consacrarono Aurelio Agostino tra il giubilo del clero e del popolo. Da quel momento, il santo Vescovo non conobbe più il silenzio del chiostro e, facendo violenza alle proprie aspirazioni, si dedico’ interamente alla sua diocesi e all’intera chiesa africana. Fu subito attaccato dal vescovo donatista Macrobio e al debellamento di quella eresia dedicò tutte le sue forze. Nonostante che i “circumcellioni” s’aggirassero per le campagne al grido di “Deo laudes” e attaccassero ferocemente i non eretici, Agostino si battè fortemente affinché nella lotta dominasse la carità verso le persone. Quando Marcellino, legato imperiale di Onorio, inizio una forte repressione contro i donatisti, il vescovo d’Ippona ne ospitò diversi e si recò a Cartagine per ottenere clemenza dall’autorità imperiale. Nel frattempo si eresse a campione dell’ortodossia mediante lettere, che sovente divenivano autentici trattati, e con una intensa predicazione. Rifiutò indefessamente la “intercessio apud saeculi potestates”, anche se facile fonte di appoggi potenti e di elargizioni munifiche alla sua bisognosa chiesa; e, appellandosi più allo “jure coeli” che allo “jure fori”, rifiutò legati che risultassero di danno ai naturali eredi dei generosi defunti. Quando Marcellino cadde in disgrazia e venne condannato dal comes Massimo, si recò nuovamente a Cartagine per confortare il prigioniero e ottenerne la liberazione. Al retore Volusiano con chiarezza rispose che Roma aveva ceduto di fronte ai barbari di Alarico non per debolezza del cristianesimo abbracciato, bensì per la decadenza dei suoi costumi. Parlando di Roma, tracciò le linee della città celeste e della città terrestre.