LA NEVE NEL BICCHIERE (1984)

LA NEVE NEL BICCHIERE (1984)

Anno 1984

Paese Italia

Durata 144 minuti

Genere Drammatico

Regia Florestano Vancini

Attori Angela Biavati, Paolo Bigojzi, Giorgio Bulla, Franco Carati, Peter Chatel, Claudio Conficconi, Guido Ferrarini, Massimo Ghini, Anna Lelio, Marne Maitland, Luigi Mezzanotte, Teresa Ricci, Anna Teresa Rossini, Armando Traverso

Data uscita N.D.

Fotografia Aldo Di Marcantonio

Montaggio Enzo Meniconi

Musica Carlo Rustichelli, Paolo Rustichelli

Sceneggiatura Florestano Vancini, Massimo Felisatti

Trama
È la cronaca delle vicende di una famiglia contadina della “bassa” ferrarese dal 1898 al 1927: tre decenni e tre generazioni di creature, per le quali la povertà, lo scarso cibo, le malattie (pellagra e malaria), la dura fatica, i lutti (ma anche le semplici gioie) procedono in una con il lento trascorrere del tempo, il lavoro, la unità del nucleo familiare, i valori, gli affetti ed i ritmi conseguenti si inquadrano da prima nel volgere delle stagioni, poi, volta a volta, negli avvenimenti di più largo respiro e di diversa importanza: le prime lotte salariali dei braccianti e mezzadri, le prime Leghe, rosse e bianche, la Grande Guerra (che lascia anche nella “bassa” larghi e dolorosi vuoti, le prime manganellate di ispirazione agraria e di netta marca fascista. Capostipite è il vecchio Nullo, uomo onesto e lavoratore indefesso che morirà appoggiato alla sua falce tra le stoppie; dei figli suoi, è Venanzio a raccogliere il testimone, con il fratello Ligio (morirà appunto in guerra) e Medea, destinata anche lei a lavorare e a sfiorire, restando nubile; e poi la calda e solida Mariena, che dà a Venanzio due robusti ragazzi, oltre alla piccola Edvige, la quale perderà la sua innocente vita in un abbeveratoio sull’aia di casa. Dalla condizione più umile e dura – quella di “scarriolanti” – la famiglia passa, poco dopo l’inizio del nuovo secolo, alla ambita qualifica di mezzadro del parroco del lontano paese, per arrivare infine – sempre dopo difficoltà, lavoro e dolori – all’incerto approdo cittadino di una Bologna fine anni Venti: con la sospirata acquisizione, per gli uomini, di piccoli posti e di modestissimi impieghi, ma anche con la perdita – per tutti – delle cose semplici e naturali e del senso di libertà della civiltà della terra, lasciata alle spalle, ma tuttavia non morta nella memoria degli anziani: con tutte le sue incognite, ma anche con il rassicurante ritmo delle stagioni ed i suoi riti tradizionali quanto irripetibili. Tutto è raccontato dalla voce fuori campo di un nipote di nonno Venanzio, ormai cittadino, nel ricordo nostalgico della nonna, che un giorno gli preparò la neve nel bicchiere insaporita dal rosso del vino della “saba”: ancora un piccolo rito contadino di una perduta condizione umana, dura, ma non infelice.

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